La pratica quotidiana


A cura di: Davide Ferri
Assistenza curatoriale: Francesca Bertazzoni
Interventi di: Bekhbaatar Enkhtur, Marta Mancini, Gabriele Picco, Federico Pietrella, Nazzarena Poli Maramotti, Alessandro Sarra

Federico Pietrella / senza titolo, 2019, timbri datari con acrilico su tela, 100 x 80 cm / courtesy l’artista e Galerie Born, Berlino

Anche quest’anno la Sezione Arte reagisce alle suggestioni del titolo, e non si traduce in una vera e propria mostra, ma in un dispositivo in movimento, in costante evoluzione nei giorni del festival, uno spazio di lavoro quotidiano, dove le opere – in gran parte interventi site specific – costituiscono una specie di controcanto, di contrappunto, ad alcuni mo- menti dialogici: tra gli artisti, presenti all’interno dello spazio per tutta la durata del festival, e tra gli artisti e il pubblico, invitato ad una lunga e (quando possibile) reiterata frequentazione dello spazio.
Le opere inoltre reagiscono alle sollecitazioni del luogo – l’Oratorio di San Sebastiano – e alle sue articolazioni, talvolta contaminandosi e attivandosi reciprocamente: un grande tavolo posto al centro dello spazio, ad esempio, ospita lavori di piccolo formato (disegni e pagine di appunti, ma anche frammenti di opere non finite o irrisolte) anche eccentrici rispetto alle poetiche di ognuno degli artisti, e rievoca la dimensione dello studio, lo spazio della pratica quotidiana, il luogo di un procedere incerto, frammentario, sorprendente, di un fare non progettato.
La sezione include i lavori di Federico Pietrella, veri e propri “racconti del tempo”, in cui l’artista, utilizzando un timbro datario come pennello (che registra ogni giornata di lavoro) traduce in pittura immagini che appartengono alla quotidianità e al tranquillo svolgersi della vita famigliare. I dipinti di Nazzarena Poli Maramotti, attraversati da forze e movimenti che preludono a diverse potenzialità dell’immagine, a paesaggi – con cose riconducibili al reale che si addensano nei bordi come in un affresco settecentesco – che possono facilmente virare verso l’astrazione. I lavori di Alessandro Sarra, che nascono per via di stratificazioni successive (alcune cancellano, altre costruiscono l’immagine con segni che sembrano attraversare la superficie come forme instabili e volatili) e in cui l’ultima vela- tura conserva le tracce, rilanciandole in superficie, di quelle che l’hanno pre- ceduta. I disegni di Gabriele Picco, realizzati in un modo rapido e dimesso che nel tempo, sin dagli esordi dell’artista, non è mai mutato, con tratti da diario adolescenziali, figure al limite della caricatura che tendono sempre all’autoritratto – immagini sghembe che collassano in una forma a metà tra lo scarabocchio e la vignetta. I dipinti di Marta Mancini, percorsi da un ritmo sincopato di tratti spessi e vibratili, forme sopravvissute a un atto di negazione, quello di una campitura monocroma che, come uno sfondo che copre, ha cancellato, interrotto, ridefinito l’andamento di una pennellata larga e sinuosa. Un’installazione, infine, di Bekhbaatar Enkhtur, capace di abitare lo spazio con progressive espansioni, e attraverso l’utilizzo di materiali trovati, di recupero (sedie, assi di legno, bancali, imballi…) e figure di animali – modellati di getto con l’argilla cruda – che sembrano esalare l’ultimo respiro e sprigionare un potente residuo di vitalità.